lunedì 13 giugno 2016

SEMBRAVA UNA FELICITA' di Jenny Offill


La prima cosa che mi viene da dire a mente ancora calda della lettura di “SEMBRAVA UNA FELICITA’” di Jenny Offill, edito da NN Editore,  è che l’autrice è stata geniale, coraggiosa ed assolutamente autentica: tutto questo nell’essere riuscita a trasformare la storia di una donna come tante in qualcosa di coinvolgente, intimo e con una carica esplosiva innescata pronta a detonare ad ogni paragrafo che compone questo suo secondo romanzo. Una miscela che ti fa divorare il libro tutto d’un fiato, riempiendo e togliendo in un’alternanza senza sosta di luci intermittenti che si accendono e si spengono tra i pensieri della protagonista.

Lei, la donna senza nome di “SEMBRAVA UNA FELICITA’”, è una di quelle donne che non avrebbe voluto sposarsi, sognava di diventare un “mostro d’arte”, di scrivere il suo secondo romanzo. Invece incontra un uomo: lui compone “paesaggi sonori”; lei che lo accompagna in giro per la città a registrare suoni. Si frequentano. Si sposano. La nascita della loro bambina e la fase della maternità: una nuova vita ed ancora inquietudine. L’abbandono definitivo della sue aspirazione di scrittrice ed il ritrovarsi a fare la “scrittrice fantasma” per un libro improbabile sulle missioni spaziali.
Il tradimento del marito con una donna più giovane. Il lasciarsi, la rabbia, la disillusione ed il senso di inadeguatezza. La contemplazione della possibilità di ricominciare, con lui, con il matrimonio, con la vita in generale.

“Il mio piano era non sposarmi mai. No, io volevo diventare un mostro d’arte. Le donne non diventano mai mostri d’arte, perché i veri mostri d’arte si preoccupano solo d’arte e mai di cose terrene.”


L’ennesima vicenda apparentemente banale che tra le dita della Offill ha preso invece una luce ed una consistenza innovativa ed inusuale, quasi rivoluzionaria direi. Abbandonata la struttura narrativa tradizionale, “SEMBRAVA UNA FELICITA’” procede per frammenti, spezzoni di pensieri che occupano poche righe e che tracciano il flusso dell’incedere mentale della donna; ne mappano le discese in picchiata verso vuoti di delusione e le lente risalite su per i tornanti della rinascita e del bisogno di ricominciare. Il tutto in una mescolanza mai casuale di annotazioni di pensieri, citazioni di scrittori e filosofi, frammenti di ricordi, dialoghi, di detti e non detti che creano una spirale discendente nell’intimità cerebrale della protagonista dove il suo essere viene svelato ma mai definito da parole che potrebbero risultare troppo limitanti.

La sua vita e le sue emozioni discordanti e contraddittorie, le sue immersioni e le sue risalite umorali vengono dipanate e svelate al ritmo del procedere di un drenaggio cerebrale riversato in istantanee di pensieri che compongono la narrazione.
Un equilibrio precario mantenuto in vita tra un senso di auto-ironia sdrammatizzante e tagliente, ed un ribollire emotivo interiore che non sembra mai riuscire a trovare una via d'uscita definitiva, una valvola dalla quale decomprimere tutto quel tumulto interiore se non sulla carta, tra le pagine del libro, tra gli spazi bianchi dei brevi periodi dove i pensieri defluiscono e poi di nuovo si immergono per cercare di tornare in superficie a respirare, a riprendere fiato e vita.

Lo sguardo è sempre rivolto verso l’interno per scavare, domandare, per cercare di districare quel nodo di ansie ed insicurezze; per cercare di alleviare quel senso di inadeguatezza che attanaglia la protagonista. Inadeguatezza come madre a confronto con tutte le altre madri super-organizzate e puntualissime; inadeguatezza come moglie, lei insicura, complicata, difficile a confronto con quel bravo-ragazzo di suo marito perfetto, preciso e che aggiusta sempre tutto senza mai lamentarsi.
Ma soprattutto inadeguatezza nel suo essere donna con tutto il suo carico di risentimento per le aspirazioni frustrate, i sogni mai realizzati ed abbandonati, per l’assolvimento del compito di madre e di moglie che a volte appare troppo ingestibile per la sua mente che corre veloce  all’impazzata tra il colore di un’emozione ed un’altra sempre a tinte troppo forti per essere gestite.

“Alcune donne lo fanno sembrare così facile, quel modo di scrollarsi l’ambizione di dosso come se fosse un cappotto costoso che non va più bene.”


Una scrittura che è essenziale e potente, levigata, raffinata, che compone tassello dopo tassello il mosaico dell’intimità personale e famigliare della protagonista, in una costante operazione quasi chirurgica diretta dalla Offill, di aggiunta e privazione, di vuoto e di pieno, di bianco e di nero, fino ad arrivare al nucleo della personale ricerca della felicità della protagonista che, inaspettatamente, dopo tanto cercare e domandarsi si manifesta come un pomeriggio di neve ed il mondo che appare di una bellezza sospesa. Una felicità precaria ma reale.
Assolutamente da leggere!

Titolo: Sembrava una felicità
Autore: Jenny Offill
Traduttore: Francesca Novajra
Editore: NNEditore
Anno di pubblicazione: 2015

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